Gli Isolati
Negli isolati delimitati dalle vie venivano costruite le case per gli abitanti. Le domus potevano essere di uno o due piani con le stanze disposte intorno a un cortile porticato.
Le prime testimonianze sull’edilizia residenziale a Libarna risalgono al periodo tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I d.C. Esse provengono per la gran parte dal cosiddetto “quartiere dell’anfiteatro” e dalla “via del teatro”. Oggi è difficile comprendere le fasi di vita e l’organizzazione delle case, a causa della lacunosa documentazione di scavo, ma anche degli interventi di spogliazione successivi all’abbandono del sito.Per i due isolati adiacenti l’anfiteatro si può ricostruire una prima fase tardo-repubblicana/augustea (fine I secolo a.C. – fine I secolo d.C.), che vedeva una divisione di ognuno di essi in una grande domus signorile e tre abitazioni più modeste con cortile parzialmente coperto e ambienti a destinazione commerciale (tabernae).
Alla fine del I secolo d.C. gli isolati subiscono una sorta di riconversione edilizia, probabilmente in relazione alla costruzione dell’anfiteatro: le due grandi case ad atrio e peristilio vengono divise in lotti e si assiste a una riqualificazione in senso produttivo e mercantile con botteghe, officine di tintura della lana (fullonicae) e uno studio-ambulatorio medico.Libarna non ebbe mai uno sviluppo demografico tale da giustificare la presenza di soluzioni abitative multifamiliari a più piani (insulae).
Reperti
L’organizzazione della casa romana
Se le nostre abitazioni sono veri e propri spazi privati in cui la famiglia vive al riparo della sfera pubblica (il concetto di privacy ha addirittura valore legale) e, tranne per gruppi ristretti dell’alta società, prevede poco spazio per ospiti, lavoro e affari, la casa romana era un centro di comunicazione sociale e di auto-rappresentazione dimostrativa.Tralasciando gli ambienti puramente funzionali, il criterio fondamentale per l’organizzazione dello spazio era l’allestimento di una sorta di “percorso” nella parte di rappresentanza della casa familiare aristocratica. Si entrava dall’ingresso (fauces); si passava nell’atrio (atrium), vero e proprio elemento organizzatore della casa; si arrivava a una sorta di sala di ricevimento, il tablinum (che fungeva anche da archivio familiare), in cui il padrone svolgeva le attività di relazioni sociali. Lungo questo percorso si potevano vedere i segni dello status sociale del proprietario (dominus): nell’atrio i ritratti degli antenati (come attestato di nobiltà e di storia familiare), l’edicola dei Penati e dei Lari (divinità e geni protettori della famiglia e della casa in generale) e nel tablino grandi pitture parietali che aggiungevano il peso della cultura, essendo ispirate a grandi opere dell’arte greca, all’auto-rappresentazione del proprietario.A completare l’assetto della casa erano il triclinium, sala per i pranzi ufficiali, essa pure abbellita da affreschi, mosaici pavimentali, statue, stanze multifunzionali (alae), spazi per la cultura e camere da letto (cubicula).
Accanto alle latrinae normalmente stava la cucina (culina), che non era necessariamente un’istallazione fissa e poteva di volta in volta essere allestita in un ambiente o in un altro. Nella casa tradizionale il percorso terminava con uno spazio verde (hortus).A partire dalla fine della Repubblica (fine II-I secolo a.C.), sotto la prepotente spinta della cultura greca, si aggiunsero uno o più grandi giardini porticati (peristilium), su cui si affacciavano stanze a uso privato, destinate alla quiete del padrone e dei suoi amici più intimi. Era questo il settore in cui – come nelle ville fuori città, lontane dalla vita pubblica ufficiale – si poteva dar spazio liberamente a quella che i conservatori delle vecchie tradizioni repubblicane chiamavano luxuria asiatica, i modi di vita proposti dalle corti e dalle élites ellenistiche, visti come una sorta di “mondo superiore”.La struttura sociale della casa aristocratica imponeva dunque un percorso gerarchico che portava sempre più verso l’interno.Questo modello era però ambìto anche dai ceti medi, che lo riproponevano nelle loro case con mezzi più modesti, con una riduzione all’essenziale del numero, delle dimensioni e delle decorazioni delle stanze.I ceti popolari abitavano in condomini d’affitto (insulae), delimitati da vie, che portavano in genere il nome del proprietario (per es. insula Sertoriana).